
La maniera nera raccontata da Alberto Rocco
Alberto Rocco http://www.albertorocco.com
La maniera nera
L’incisione calcografica su metallo può essere divisa in due categorie, a seconda che si realizzi per l’azione diretta della mano o se si avvalga della mediazione di sostanze corrosive; alla prima appartiene la maniera nera, il bulino e la puntasecca.
Sul rame lucidato a specchio si opera con un particolare strumento, il “berceau”, piccola mezza-luna d’acciaio con un lato finissimamente solcato da intagli perpendicolari al bordo inferiore di lavoro, che, accuratamente affilato, formerà sullo stesso una miriade di acutissime punte; si procede premendo il berceau sulla superficie della lastra e guidandolo gli si imprime un movimento di spinta-oscillante, ottenendo così una serie di minutissimi punti, che sapientemente condotti, secondo un preciso schema di incroci e reiterate sovrapposizioni, poco alla volta, aggregandosi, genereranno sul rame una superficie d’aspro velluto metallico, la cosiddetta “granitura”, che renderà possibile dalla matrice ottenere la stampa del nero assoluto e profondo che questa tecnica sola consente di raggiungere. Da questa base che, com’è facile immaginare, ottengo dopo molte ore di lavoro, inizio lo sviluppo definitivo dell’immagine che intendo realizzare agendo per logoramento, consumando la granitura con vari specifici strumenti, soprattutto raschietti e brunitoi d’acciaio e d’agata, per raggiungere in progressione quella che sarà la gamma intermedia dei grigi fino allo splendore del bianco assoluto; base-materia, che plasmo e modello con il contatto diretto anche della mano, delle dita, che sentono quello che gli occhi vedranno.
L’inesistenza del segno grafico, per altre tecniche necessario e risolutore, rende la maniera nera pratica incisoria del tutto diversa: la materia stessa della granitura si concede all'”arte del togliere” con un lavoro sottrattivo di modellato.
La lastra finita diventa una matrice a basso-rilievo, che, stampata, creerà un alto-rilievo dagli impalpabili quasi immaginati piani, matrice che genererà altra forma divenuta immagine; la luce che batte radente sul foglio che ha ricevuto l’impronta affonda nel nero per riemergere, accarezzandoli, sui piani medi (i grigi) e per splendere infine sul bianco assoluto, che è rilievo di luce. La forma/immagine, ora sulla carta, ne sfida la bidimensionalità in un impalpabile plastico aggetto, che diviene morbidezza struggente di argentei piani tonali, risultato precipuo di questa aristocratica tecnica.
A. R. ottobre 1991


